Monumenti e Storia

Il centro storico

Al castello si accede percorrendo la strada ancora detta della Porta vecchia (via G. Verdi), malgrado la medioevale porta e il ponte levatoio non esistano più, oppure salendo la via d’accesso seicentesca e oltrepassando l’imponente arcata della Porta nova.

Nella piazza, ai piedi della salita della Porta nova, si riconosce la facciata della chiesa dedicata a S. Antonio da Padova, XVII secolo, costruita là dove sorgeva anche un ospedale per i poveri e i viandanti. Costeggiando le mura a sinistra della salita per la Porta nova, si scende verso il “Prato”, e si incontra, dopo una cinquantina di metri, un pertugio nelle mura. La galleria che attraversa la cinta muraria è stata utilizzata come rifugio durante l’ultima guerra. Ma è un esempio delle cosiddette grotte o fosse, disseminate in tutto il paese e un tempo utilizzate per conservare i cereali.

Entrando da via Verdi si incontra, sulla sinistra, il  palazzo della Rovere, e sulla destra l’angusto vicolo degli Ebrei, che testimonia la presenza storica di una comunità ebraica. Barchi figura fra i cognomi ebraici italiani e la presenza ebraica nel castello è documentata almeno dal 1544.

Palazzo Civico

Ma immediatamente si scorge il palazzo civico (“comitale”) con la torre campanaria cuspidata. L’originale orologio funziona ad un’unica lancetta. Nella piazza, cuore del centro storico, sulla quale si affacciano gli antichi edifici del “potere”, la fontana pubblica a ruota riforniva le famiglie traendo l’acqua dalla cisterna sottostante

Il duca di Urbino, Guidobaldo II (1514-1574), nel 1571, un anno dopo aver ricevuto Barchi e parte del suo vicariato da suo fratello, il cardinale Giulio Della Rovere, chiede all’architetto Filippo Terzi di rivedere la struttura urbanistica del centro storico per dar spazio a nuovi palazzi e renderlo più affine alle nuove concezioni architettoniche. Il progetto di Filippo Terzi è ritenuto l’unico intervento completo dell’architetto prima di passare al servizio dei re di Spagna e Portogallo. Il palazzo e la torre sarebbero costruiti secondo le norme della divina proporzione, frutto della filosofia soggiacente agli studi matematici e architettonici nel Cinquecento.

Il loggiato, formato da quattro archi dai quali si accede agli uffici comunali, serviva probabilmente da mercato coperto. Si riconoscono ancora alcune tacche per le misure incise sulla pietra arenaria. Nella lunetta antistante il portone d’ingresso restano le tracce di un affresco cinquecentesco raffigurante un crocefisso sullo sfondo delle colline locali.

Sulla piazza, ad angolo con corso Umberto, si affaccia palazzo Lenci.

Chiesa della SS. Resurrezione

Accanto al palazzo municipale spicca l’edificio della chiesa della SS. Resurrezione, allungato, togliendo così proporzione alla piazza, nel Seicento. L’antica chiesa, dedicata ai santi Ubaldo, Tommaso d’Aquino e Filippo Neri, poi Collegiata della SS. Resurrezione, e infine semplicemente della SS. Resurrezione ha la facciata in laterizio dalla quale è percepibile la divisione interna a tre navate, con quella centrale più alta delle laterali. Il portale, sormontato da un timpano, è in finta pietra arenaria. Ai lati dell’ingresso principale due porte minori.

Entrando dall’ingresso principale, a sinistra, il Battistero del Cinquecento è in pietra rosa del Furlo. Un piccolo dipinto a olio raffigura Eva e Adamo nel paradiso terrestre. Le navate laterali conservano, appoggiati ai lati, tre altari in pietra arenaria originali, nei quali si riconoscono gli stemmi nobiliari delle famiglie del luogo, ma anche del duca Francesco Maria II Della Rovere.

Le trasformazioni politiche e urbanistiche del Cinquecento favoriscono, infatti, anche alcune famiglie nobili, che vedono loro membri a capo di due diocesi del ducato: Ascanio Libertani, vescovo di Cagli dal 1591 al 1607, e Francesco Maria Henrici, vescovo di Senigallia dal 1577-1590. Dietro l’altare maggiore, la pala con Cristo risorto, Sant’Ubaldo e San Tommaso, è del XVII secolo ed è ciò che resta del complesso che ornava l’antico altare centrale addossato alla parete, sostituito con un moderno altare conciliare in marmo.

Sugli altari laterali spicca l’Annunciazione della Vergine e la Madonna col bambino di Antonio Cimatori, conosciuto come il Visaccio, del XVI secolo. La Crocefissione, di scuola baroccesca, la Madonna della misericordia, attribuita a Carlo Magini di Fano; anonime le tele di San Michele arcangelo e il Battesimo di Cristo, anch’esse del XVI secolo.

Nel ballatoio sopra la porta principale è conservato un importante organo storico (1789), commissionato al veneto Gaetano Callido (1727-1813), massimo esponente della scuola organaria neoclassica settecentesca. Il crocefisso ligneo a lato dell’altare centrale, come gli angeli che incorniciano il transetto, sono forse opere dello stesso Terzi, che era anche intagliatore. Fra i cimeli la mitria e lo zucchetto appartenuti al patrono di Barchi, Sant’Ubaldo, del secolo XII, esposti in occasione dell’annuale festa del santo, il 16 maggio.

Uscendo dalla chiesa, a destra della casa parrocchiale è il palazzo Rosati Briganti Mobili. Un discendente della famiglia Rosati, il chimico Aristide, è stato precettore di Umberto I. Proseguendo si arriva in fondo alle mura da dove si gode un panorama che spazia dal mare all’Appennino. Costeggiando le mura per via Mura al monte si ritorna in via Verdi e si può vedere uno dei torricini circolari innestati da Filippo Terzi sui due fronti del castello, del tutto simili a quelli presenti nella fortezza Albornoz di Urbino.

Si può proseguire la passeggiata sulle mura, oppure, tornando alla piazza del municipio, si imbocca corso Umberto, con in fondo la Porta nova e, dopo pochi metri, nel palazzo che ha ospitato a lungo un istituto di suore, si trova il piccolo Museo degli orci e orciai e della Banda Grossi. Il museo, allestito nelle “grotte” o cantine dell’edificio, raccoglie i manufatti tipici degli orciai del luogo e ripercorre, attraverso pannelli storici, le avventure e disavventure di una banda di briganti, la banda Grossi, attiva nelle campagne nel XIX secolo.

Uscendo dal museo, prendendo la via quasi di fronte, si può fare il giro delle mura verso il mare e, a ridosso del giardino del caffé, si può vedere il piccolo edificio che conserva un classico forno che serviva le famiglie del castello, mentre di fronte al bar è la sala delle due palme, con il bel cornicione in cotto lavorato. Proseguendo su corso Umberto si incontra, nella piazza, sulla destra,  palazzo De Grandis e si esce dal castello oltrepassando la Porta nova.

Cenni storici sull’antichità

Il dolce colle sul quale riposa l’antico Castello di Barchi, nasconde una storia ricca di travagliate vicende e di avvenimenti importanti. Da alcuni reperti ritrovati nel territorio del Comune questa zona risulta infatti abitata sin dal V millennio a.C., quando popolazioni nomadi e pastori la raggiunsero. I primi abitanti di cui sia ha notizia (dal X sec. a.C. in poi), furono i Pelasgi (antico popolo proveniente dalle terre del Mediterraneo orientale). Dopo i Pelasgi, fu la volta del popolo italico degli Umbri, dei misteriosi e civilissimi Etruschi ed anche, probabilmente, dei Piceni. Verso la fine del V secolo a.C., giunsero dalle desolate lande del Nord-Europa, i Galli Senoni. Essi riuscirono ad occupare gran parte dell’attuale provincia di Pesaro e si spinsero anche oltre, finchè non incontrarono sulla loro strada i Romani.

Poco dopo la vittoria sui Galli Senoni, i Romani si trovarono ad affrontare un’altra spaventosa minaccia proveniente, questa volta dalle lontane terre d’Africa. Si trattava dei Cartaginesi, che si proposero come grandi rivali di Roma per la conquista del Mediterraneo. La lotta fra i due popoli durò più di cento anni; una delle battaglie decisive sembra aver avuto luogo proprio nel territorio di Barchi: qui, fino a pochi decenni fa i contadini arando la terra, di tanto in tanto vedevano affiorare rottami dei carri dell’esercito cartaginese, ossa e zanne di elefanti.

La “Battaglia del Metauro” (207 a.C.) fu importantissima perchè vide la morte (e la decapitazione) del condottiero punico Asdrubale Barca e la disfatta del suo esercito. Il sanguinoso scontro rivestì un ruolo decisivo per le vicende di Barchi. Sembra infatti che dal nome del generale Asdrubale Barca (il cui corpo, mozzato della testa, potrebbe essere ancora sepolto nel territorio barchiese) possa derivare quello del nostro paese.

…E poi vennero i Romani: Barchi fu insediamento di ville e fattorie lungo la vallata del rio Maggio. Il documento archeologico più significativo della presenza dei Romani a Barchi è costituito da un’ara in pietra con dedica ad Apollo. Rinvenuta nel 1756 fa presupporre l’esistenza di un antico tempio dedicato al dio della bellezza, (è sin d’allora conservata nel Palazzo ducale di Urbino). La romanizzazione del territorio significò per la zona di Barchi, l’inizio di un lungo periodo di pace e di prosperità, che durò più di seicento anni; fino a quando cioè, le continue incursioni dei Barbari non fecero crollare definitivamente l’immenso e stupendo edificio che era stato l’Impero Romano d’Occidente (476 d.C.).

Una visita per il centro storico
Le bellezze storiche-artistiche del comune
Alle volte fuggirei queste mie radici,
poi guardo dietro.
Sono la continuità di mio padre,
sono la poesia che lui che non riuscì a scrivere,
sono le parole trovate,
sono quello che per cercare si perse,
sono in tutto questo e siamo.

L’aggancio, in L. CanestrariFotografie in parole

Palazzo Ducale

Portale

Medioevo e Rinascimento

Con la necessità di difendersi, gli abitanti della valle si rifugiarono sulla collina dove costruirono il primo nucleo del villaggio agglomeratosi attorno alla chiesa di S. Martino. Dopo le vicende della “Guerra gotica” (535-553) combattuta fra Ostrogoti e Bizantini e la vittoria finale di questi ultimi, Barchi fece parte dell’ Esarcato di Ravenna e della “provincia” della Pentapoli (Rimini, Pesaro, Fano, Senigallia ed Ancona. Più tardi però, il territorio bizantino venne occupato dai Longobardi di re Astolfo (752) e dai Franchi di Pipino il Breve (755). A seguito del trattato di Quierzy (754), la Pentapoli, e Barchi con essa, fu consegnata al pontefice Stefano II (Donazione di Pipino il Breve). Da allora iniziò il dominio dello Stato della Chiesa che sarebbe durato fino al XIX sec.

Il Castello

Il Castello divenne molto forte, tanto da costituire per secoli l’estremo baluardo difensivo di quel vasto territorio ecclesiastico chiamato “Vicariato”. Venne citato da diversi autori illustri per questa sua grande importanza strategica: ricordiamo in particolare il Baldi che lo definì un “Castello assai grosso e forte, che ebbe l’ardire di resistere all’assedio del Duca Federico di Montefeltro…”; e Francesco Guicciardini che nella sua “Storia d ’Italia”, nel capitolo dedicato alla “Guerra d ’Urbino” fra Medici e Della Rovere di cui egli fu diretto testimone, descrisse Barchi come un “sito forte, ove non poteva andarsi se non per cammino difficile…” (tanto difficile che le truppe medicee guidate da Giovanni della Bande Nere e capeggiate dal Duca Lorenzin De’ Medici, dopo giorni di assedio rinunciarono ad attaccarlo e furono costrette alla fuga, subendo una disastrosa sconfitta che aprì la strada della vittoria finale ai Della Rovere. Dal 1309 al 1377 i Papi trasferirono la loro sede da Roma ad Avignone, perdendo gran parte del loro potere sullo Stato Pontificio. Da allora iniziò, anche nella nostra regione, una serie incessante di sanguinose lotte per il dominio sui vari castelli, fra i numerosi e bellicosi signori locali. Nel 1446, al termine di queste guerre, si ebbe la vittoria definitiva di Sigismondo Malatesta, il quale ottenne da papa Eugenio IV, l’investitura del territorio di Fano e del Vicariato Cesanense (che comprendeva anche Barchi). Seguirono anni di pace e di ripresa economica, che riportarono un certo benessere nella popolazione; il Duca di Urbino Federico di Montefeltro decise di invadere il territorio dei Malatesta, occupando Barchi e gran parte dei castelli con la forza.

Con la conquista di Federico, iniziò una nuova mirabile Era per Barchi, che, entrato nella orbita Ducato di Urbino, vi rimase per quasi due secoli. I Barchiesi si dedicavano con notevole profitto all’agricoltura, al commercio , e all’artigianato. In particolare delle terrecotte esportate in tutta la regione. Signore di Barchi in questi anni gloriosi fu Giovanni Della Rovere che ricevette in isposa nell’anno 1478 la figlia del Duca Federico. Questo matrimonio risultò essere un vero e proprio bacio della Fortuna per Barchi e tutta la Regione circostante. Infatti esso fu il primo passo verso l’unione delle due dinastie (Montefeltro – Della Rovere ), la quale sarebbe divenuta effettiva , quando nel 1508 Francesco Maria Della Rovere, figlio di Giovanni, sarebbe stato nominato Duca d’Urbino. La svolta più importante nella storia della cittadina avvenne in pieno Rinascimento con la costituzione nel 1538 del Vicariato di Barchi (un vero e proprio Stato con giurisdizione su altri cinque castelli) il quale divenne indipendente dal “Vicariato Vecchio”. Sempre più interessato fu quindi l’intervento dei Duchi di Urbino , che nel nostro paese possedevano un sontuoso edificio adibito a residenza estiva.

Nel 1550 il Castello fu concesso in feudo al Conte Pietro Bonarelli Della Rovere di Ancona , che, per l’occasione fu nominato Marchese di Barchi. La grande rivoluzione urbanistica voluta dal Duca Guidubaldo II della Rovere cambiò completamente il ruolo del Castello , il quale da un importantissimo centro strategico- militare venne tramutato in un’attiva , socialmente e culturalmente , cittadina rinascimentale. Il duca affido’ i lavori al suo architetto di fiducia, il bolognese FILIPPO TERZI (Bologna 1520 ca. – Lisbona , 1597). Il geniale architetto (e ingegnere militare) fu senz’altro uno dei più grandi di tutto il Rinascimento.  Egli riprogettò l’intero Castello , aprendo un elegante Corso che taglia in due l’intero abitato; realizzando la Piazza posta al centro e studiata in modo tale da presentarsi come un immaginario palcoscenico per chi entra dalla Porta Vecchia; disegnando la nuova Chiesa, il Palazzo Comunale e la superba Torre dominante sull’intera vallata; creando infine la nuova sontuosa entrata, culminante, non in un arco militarmente studiato per la difesa del Castello, ma in un vero e proprio arco trionfale: la Porta Nova. Il 28 – 4 – 1631 l’ultimo Duca Francesco Maria II, passò a miglior vita e l’intero Ducato di Urbino entrò a far parte dello Stato Pontificio. Il “Vicariato di Barchi” prosperò quindi a lungo, come un vero e piccolo Stato, acquisendo notevole importanza nell’ambito dello Stato della Chiesa ; dotandosi inoltre nel 1572 degli “Statuti Terrae Barchii e jusque Vicariatus” che raggruppava per la prima volta stampate, le antiche leggi della Terra di Barchi.

Barchi oggi

Dal 1797 truppe francesi di Napoleone invasero le nostre zone depredandole. Barchi entrò così a far parte degli effimeri stati Napoleonici: nel 1814 il paese ritornò a far parte dello Stato della Chiesa. Nacquero le prime contestazioni contro l’antiquato ed obsoleto apparato pontificio, che sarebbero poi sfociate in vere e proprie rivolte nel 1860, consentendo alle truppe Piemontesi di occupare le Marche e di costituire il Regno d’Italia.

Le due guerre mondiali si abbatterono come feroci colpi di mannaia sull’esile collo del paese. La Seconda Guerra Mondiale, in particolare, portò la distruzione fin dentro il cuore di Barchi, che arrivò addirittura ad un passo dall’annientamento totale. Barchi oggi, è un ridente paese che si sviluppa tutt’intorno all’antico Castello, dal quale si può godere di un bellissimo e suggestivo paesaggio. Visitare Barchi, oggi, significa tuffarsi nel verde della campagna che lo circonda; ascoltare il silenzioso linguaggio di monumenti antichi e stupendi ; immergersi nei ritmi tranquilli di un paese dove il tempo sembra essersi fermato.

Barchi Roveresca di Gianni Volpe

Cinquant’anni della Madonna del soldato